Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa da  S.
C. e N.  L. con Avv. Roberto Rogate via Nicola Piccinni 23,  Milano, 
attrici; 
    Contro: 
        M. A. e M. D., residenti in via C.B. n. 2,  Milano  convenuti
contumaci 
        Assicurazioni Generali spa - FGVS - con  Avv.  Giuliano  Fede
Pellone Corso di Porta Romana n. 79, Milano, convenuta 
 
                                Fatto 
 
    S. C. e N. L., rappresentante e difese giusta procura speciale  a
margine   dell'atto  di  citazione  dall'Avv.   Roberto   Rogate   ed
elettivamente domiciliate presso il suo studio in Milano, via  Nicola
Piccinni  n.  23,  con  atto  di  citazione  regolarmente  notificato
convenivano in giudizio M. A. e M. D., rispettivamente  conducente  e
proprietario dell'autoveicolo Lancia tg, e la Societa'  Assicurazioni
Genereali spa - quale impresa designata del Fondo di Garanzia Vittime
della Strada - per sentirli condannare al  risarcimento  di  tutti  i
danni  dalle  stesse  subiti  in  occasione  dell'incidente  stradale
verificatosi in Milano, piazza Diocleziano, in data 10 gennaio  2010,
alle ore 12,15 circa. 
    Deducevano le attrici che nelle anzidette circostanze di luogo  e
di tempo la sig.ra N. L. si sarebbe trovata alla  guida  del  veicolo
Renault Clio tg, di proprieta' della sig.ra S.C., ferma in colonna al
semaforo di piazza Diocleziano, intersezione con via Cenisio,  quando
sopraggiungeva da tergo il furgone Lancia tg, di proprieta' di D.M. e
condotto da A. M., che tamponava il veicolo della sig.ra C. S. 
    Aggiungevano le attrici che, a causa dell'anzidetto incidente, la
sig.ra  L.  N.  riportava  lesioni  fisiche  con  conseguente   danno
biologico ed inabilita' temporanea - quantificati in € 3.044,35  -  e
che l'autovettura della sig.ra C. S. subiva  danni  materiali  per  €
2.984,35 (oltre ad € 60,00 per il soccorso stradale). 
    Aggiungevano ancora le attrici che il veicolo dei convenuti, dopo
gli opportuni accertamenti, risultava privo di copertura assicurativa
al momento del sinistro e, pertanto, le stesse dopo  essersi  rivolte
al proprietario del veicolo si sono rivolte  alla  Societa'  Generali
Assicurazioni spa, quale Impresa designata per il Fondo Vittime della
Strada. 
    I convenuti A. M.,  e  D.  M.  non  si  costituivano  e  venivano
dichiarati contumaci. 
    Si costituiva invece la convenuta Generali Assicurazioni  spa  la
quale contestava in toto le domande delle attrici e proponeva domanda
di regresso nei confronti degli altri convenuti ex art. 292 d.lgs  n.
209/2005, ma in via pregiudiziale eccepiva  l'improponibilita'  delle
domande  formulate  dalle  attrici  per  il  mancato  rispetto  delle
condizioni di procedibilita' stabilite dagli artt.  142,  145  e  148
d.lgs n. 209/2005  e  in  via  preliminare  eccepiva  il  difetto  di
legittimazione passiva delle Assicurazioni  Generali  spa  (F.G.V.S.)
per non aver le attrici fornito la prova che il veicolo dei convenuti
(Lancia  tg.)  al  momento  del  sinistro  era  privo  di   copertura
assicurativa. 
    All'udienza del 25  maggio  2012  il  Difensore  della  convenuta
Generali  Assicurazioni  spa,  ritenendo   dirimenti   le   eccezioni
proposte,   chiedeva   fissarsi   udienza   di   precisazione   delle
conclusioni. 
    Il giudice, accogliendo la domanda della convenuta,  fissava,  ai
sensi e per gli effetti dell'art. 187 cod. proc. civ., al 12  ottobre
2012 l'udienza per la precisazione delle conclusioni e la discussione
della causa. 
    Nel corso dell'anzidetta udienza il giudice  dopo  aver  rilevato
che la sentenza  sulle  eccezioni  della  convenuta  potrebbe  essere
ovviamente  di  accoglimento  o  di  rigetto,   riteneva   di   dover
evidenziare l'esistenza di un suo personale interesse  (incompatibile
con  la  funzione  giurisdizionale)  ad  emettere  una  sentenza   di
accoglimento  (e  non  di  rigetto)  perche'  con  la   sentenza   di
accoglimento (ma non anche con la sentenza di rigetto) riceverebbe un
certo compenso (art. 11 L. n. 374/91). 
    Il Difensori di entrambe le parti  non  contestavano  l'obiettiva
esistenza di un interesse «personale» del giudice; il Difensore delle
attrici, pero', invitava il giudice ad astenersi  e  a  rimettere  la
causa al Coordinatore. 
    Il  giudice  esonerava  le  parti  dal  dovere  di  precisare  le
rispettive conclusioni e si riservava di chiedere al  Coordinatore  -
ai sensi dell'art. 51, comma 2, cod. proc. civ.- l'autorizzazione  ad
astenersi. 
    La domanda del giudice intesa  ad  ottenere  l'autorizzazione  ad
astenersi dal Coordinatore pero' veniva rigettata  perche'  -  a  Suo
avviso  -  non  sussistono  valide   ragioni   perche'   il   giudice
assegnatario debba spogliarsi della causa. 
 
                               Diritto 
 
    Questo giudice, per le considerazioni che seguono, ritiene che la
decisione sulle questioni sollevate dalla convenuta (improponibilita'
o  improcedibilita'  della  domanda  delle  attrici  e   difetto   di
legittimazione passiva) debba essere preceduta dalla soluzione di una
questione di legittimita' costituzionale concernente la  possibilita'
per il giudice di astenersi anche  senza  l'autorizzazione  del  capo
dell'ufficio,  quando,  a  parere  del  giudice,  non  sussistono  le
condizioni che possano garantire al giudice di essere imparziale  e/o
di apparire imparziale. 
    L'indipendenza e l'imparzialita' del giudice  -  sempre  ritenute
essenziali per l'esercizio di qualsiasi  funzione  giurisdizionale  -
con la Legge costituzionale 23 novembre 1992, n. 2, sono state  anche
formalmente e solennemente riaffermate e al secondo  comma  dell'art.
111 della Costituzione e' previsto che «Ogni processo deve  svolgersi
...davanti ad un giudice terzo ed imparziale». 
    Il giudice, un qualsiasi giudice e quindi  anche  un  giudice  di
pace - in base a quanto prevede la Costituzione ed insegna  la  Corte
costituzionale - deve non solo essere  obiettivo  ed  imparziale,  ma
deve anche apparire o poter apparire obiettivo ed imparziale. 
    La Corte costituzionale, in una Sua non recente  Sentenza,  dalla
quale non si e' mai discostata, ha  affermato  che  «Va  escluso  nel
giudice qualsiasi anche indiretto interesse alla causa da decidere, e
deve  esigersi  che  la  legge  garantisca  l'assenza  di   qualsiasi
aspettativa  di  vantaggi,  come  di  timori  di  alcun  pregiudizio,
preordinando gli  strumenti  atti  a  tutelare  l'obiettivita'  della
decisione» (Sent. n. 60/1969). 
    Invece, per i giudici di pace (ma anche per i giudici  tributari)
la legge prevede un sistema retributivo  fondato  sul  «cottimo»  (un
certo compenso per ogni procedimento definito o cancellato dal  ruolo
o per ogni ricorso deciso) che, anche se non nuoce ai giudici,  nuoce
all'obiettivita' della decisione e alla credibilita' della giustizia. 
    La retribuzione a cottimo, indubbiamente  ha  il  pregio,  ma  al
tempo stesso il difetto (di gran lunga piu' rilevante del pregio), di
far sorgere un interesse personale  (incompatibile  con  la  funzione
giurisdizionale) a decidere e a decidere nel minor tempo possibile il
maggior numero di cause. 
    I giudici retribuiti a cottimo, obiettivamente, sono condizionati
nelle loro decisioni ed emettono  provvedimenti  che  ad  almeno  una
delle parti, non di rado, possono apparire «inquinati»  da  interessi
personali. 
    Non puo' peraltro escludersi che  alcuni  giudici,  probabilmente
pochi, per non apparire «interessati», possano  emettere  o  emettano
provvedimenti in contrasto con il loro personale interesse ma che non
emetterebbero se non fossero retribuiti a cottimo, Ma  anche  in  tal
caso i provvedimenti emessi sono o sarebbero «viziati»... 
    Sulla retribuzione a cottimo per i giudici di pace,  alcuni  anni
fa (25 ottobre 2005), alcuni membri  del  Consiglio  superiore  della
Magistratura -  aderenti  al  Movimento  per  la  Giustizia  -  hanno
lanciato un allarme: «Gli effetti anomali del sistema di retribuzione
(prevalentemente a  «cottimo»)  dei  giudici  di  pace  costituiscono
costante  e  prevalente  causale   dei   rilievi   deontologici   che
interessano  i  magistrati  onorari,  di  cui   il   plenum   giudice
disciplinare.  Nonostante  il  limite  previsto  di  recente  per  le
indennita' dei giudici di pace  (72.000  euro  annui),  continuano  a
pervenire  segnalazioni  di  condotte  finalizzate  ad   incrementare
l'utile   economico   attraverso   autentiche    distorsioni    della
giurisdizione. Si tratta di condotte che...  imporrebbero  una  seria
revisione normativa delle modalita' di compenso delle attivita' della
magistratura di pace.» 
    Non  risulta,  o  almeno  non  risulta  allo  scrivente,  che  la
situazione sia cambiata in meglio o che gli aderenti al Movimento per
la Giustizia abbiano cambiato opinione. 
    Alcuni giudici ordinari  (sia  pure  onorari)  e  alcuni  giudici
tributari, ritenendo la  retribuzione  a  cottimo  incompatibile  con
l'esercizio di una qualsiasi  funzione  giurisdizionale,  hanno  gia'
richiamato l'attenzione della Corte costituzionale  sulle  norme  che
prevedono tale  sistema  retributivo  ma  la  Corte  non  si  e'  mai
pronunciata nel merito per mancanza di «rilevanza» nel giudizio a quo
della relativa questione. 
    Sarebbe auspicabile, pero', a parere di questo  giudice,  che  la
Corte si pronunziasse per rimuovere una situazione di incertezza  ma,
ovviamente, debbono sussistere i presupposti perche' la Corte possa e
debba pronunziarsi. 
    Nel caso oggetto d'esame, in base a quanto il Giudice delle leggi
ha affermato in una Sua non recente Sentenza, forse pero'  sussistono
i presupposti perche' la Corte sollevi d'ufficio davanti a se  stessa
questione di legittimita' costituzionale della norma che  prevede  la
retribuzione a cottimo per i giudici di pace (art. 11, comma 2, L. n.
374/91). 
    In passato la Corte costituzionale ha affermato infatti  che  «La
Corte puo' sollevare davanti a  se  stessa  in  via  incidentale  una
questione  di  legittimita'  Costituzionale  solo  allorche'   dubiti
dell'incostituzionalita' di una norma, diversa da  quelle  impugnata,
ma che essa e' chiamata necessariamente ad applicare nell'iter logico
per arrivare alla decisione sulla questione che le e' stata proposta:
in  altri  termini,  deve  trattarsi  di  norma   che   si   presenti
pregiudiziale alla definizione  della  questione  principale  e  come
strumentale rispetto alla emananda decisione» (Sent. n. 122/76). 
    L'art. 11, comma 2, della L. n. 374/91 prevede che al giudice  di
pace venga corrisposto il compenso  di  «€ 56,81  per  ogni  processo
assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo». 
    Questo  giudice  deve  pronunziarsi  su  questioni  pregiudiziali
(difetto di legittimazione passiva e inaprocedibilita' della  domanda
delle attrici) la cui decisione potrebbe definire il  giudizio  (art.
187 c.p.c.). 
    La sentenza sulle eccezioni sollevate  dalla  convenuta  potrebbe
essere, ovviamente, di accoglimento o di rigetto 
    Per il giudice le due sentenze, pero', obiettivamente,  non  sono
equivalenti. 
    Per la sentenza di accoglimento - in base al citato art. 11 della
L. n. 374/91- infatti il giudice riceverebbe un  «congruo»  compenso,
mentre per la sentenza di rigetto non riceverebbe alcun compenso. 
    Quindi nel decidere sulle  questioni  sollevate  dalla  convenuta
questo giudice, obiettivamente, non puo' essere  o  quanto  meno  non
puo' apparire «imparziale». 
    La norma di cui all'art. 11, comma  2,  della  L.  n.  374/91,  a
parere dello scrivente, e' costituzionalmente illegittima  (o  quanto
meno e' di dubbia legittimita' costituzionale) perche'  impedisce  al
giudice  di  essere  o  di  apparire  obiettivo  ed  imparziale   ma,
ovviamente, non e' una norma  applicabile  nel  presente  giudizio  e
quindi non puo' incidere almeno  in  modo  diretto  sulla  decisione.
Tuttavia - come ha riconosciuto  la  stessa  Avvocatura  dello  Stato
intervenuta in un recente giudizio di legittimita'  costituzionale  -
la citata norma puo' incidere (solo!) «sulla  serenita'  di  giudizio
del giudicante». 
    Questo  giudice  non   intende   sollevare   una   questione   di
legittimita' costituzionale sulla norma  che  regola  il  trattamento
economico  del  giudice  di  pace,  certo   di   una   pronuncia   di
inammissibili  per   «irrilevanza»,   ma   auspica   che   la   Corte
costituzionale voglia farlo. 
    Questo giudice, dovendo  e  volendo  non  solo  essere  ma  anche
apparire obiettivo e  imparziale,  ma  non  potendo  essere  e/o  non
potendo apparire  obiettivo  e  imparziale,  ha  ritenuto  e  ritiene
doveroso astenersi  (anche  perche',  come  risulta  dal  verbale  di
udienza,  per  le  anzidette  considerazioni  e'  stato   formalmente
invitato da una delle parti in causa ad astenersi). 
    Per astenersi questo giudice ha  chiesto  -  cosi  come  previsto
dall'art. 51, comma 2, c.p.c. - l'autorizzazione  ad  astenersi  che,
pero', non gli e' stata concessa. 
    Questo giudice, non potendosi astenere, puo' e deve sottoporre al
giudizio della Corte costituzionale l'art. 51 cod. proc. civ. - nella
parte in cui detto articolo non prevede che il giudice di  pace,  che
ritiene di non poter essere o di  non  poter  apparire  imparziale  a
causa del sistema retributivo fondato sul cottimo (art. 11, comma  2,
L. n. 374/91), possa astenersi anche senza  autorizzazione  del  capo
dell'ufficio - in relazione all'art. 111, comma 2, «Ogni processo  si
svolge...davanti a giudice terzo e imparziale» e all'art.  54,  comma
2, «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il  dovere
di  adempierle   con   disciplina   ed   onore...»   e   all'art.   3
(ragionevolezza) della Costituzione. 
    Questo giudice non «propone» che l'astensione  «facoltativa»,  di
cui all'ultimo comma dell'art. 51 cod. proc. civ., venga  trasformata
in un diritto insindacabile del giudice ma  ritiene  che  l'interesse
personale del giudice ad emettere un determinato  provvedimento  (nel
caso di specie una sentenza di accoglimento e non  di  rigetto)  -  e
tale interesse e' strettamente connesso con la retribuzione a cottimo
- possa e debba rientrare tra le «gravi ragioni di  convenienza»  che
rendono opportuna, anzi doverosa, l'astensione. 
    Ed infine appare opportuno evidenziare che i giudici di pace,  in
quanto retribuiti a cottimo e soltanto per i procedimenti definiti  o
cancellati dal ruolo, hanno un personale interesse  a  non  astenersi
perche' astenendosi non traggono alcun vantaggio  anzi  «limitano»  i
loro compensi. 
    La Corte costituzionale si e' gia' pronunciata su  una  questione
analoga (Ord. n. 123/99) ma i nuovi e diversi argomenti  addotti  con
la presente Ordinanza (in particolare il collegamento dell'astensione
con il  sistema  retributivo  fondato  sul  cottimo),  a  parere  del
remittente, meritano un riesame e dell'art.  51  cod.  proc.  civ.  e
dell'art. 11 L. n. 374/91. 
    Trattasi di questione, per quanto  esposto,  «non  manifestamente
infondata»  ed  anche  «rilevante»  ai  fini  della  decisione  della
presente causa ed  in  particolare  ai  fini  della  decisione  sulle
eccezioni  sollevate  dalla  convenuta  (difetto  di   legittimazione
passiva e improcedibilita' della domanda delle attrici). 
    Infatti se il citato art. 51 cod.  proc.  civ.  -  del  quale,  a
parere  di  questo  giudice,  non  puo'  essere  data   una   diversa
interpretazione - fosse costituzionalmente illegittimo questo giudice
potrebbe legittimamente astenersi. 
    Se invece il citato  art.  51  cod.  proc.  civ.  dovesse  essere
costituzionalmente  legittimo  questo  giudice  potrebbe  e  dovrebbe
pronunciarsi, pur  avendo,  obiettivamente,  un  personale  interesse
(incompatibile con la funzione giurisdizionale)  -  ad  emettere  una
sentenza di accoglimento (con conseguente danno per le attrici). 
    Ed e' significativo che il difensore  della  parte  attrice,  non
potendo  formalmente  ricusare  il  giudice,  l'abbia   invitato   ad
astenersi.